Nino De Cristofaro
Almeno tremila partecipanti, decisamente tanti, da anni, infatti, non si raggiungevano questi numeri nei cortei catanesi del 25 aprile.
Tutte e tutti consapevoli della gravità del momento: la guerra mondiale a pezzi che viene incentivata dalle politiche di riarmo (a partire dagli 800 miliardi decisi dall’Unione Europea); il genocidio in Palestina, di cui non si intravede la fine; le flebili speranze della pace tra Russia e Ucraina, quotidianamente rimesse in discussione; il dramma dei migranti, tra viaggi della morte e internamento nei nuovi campi di concentramento; l’incostituzionale decreto (in) sicurezza, che viola i più elementari diritti democratici. Come è stato sintetizzato in un felice slogan del corteo, per conquistare i diritti ci vogliono anni di lotte, per perderli è sufficiente un governo i cui esponenti non hanno mai fatto i conti con il fascismo. Un governo nel quale il partito di maggioranza relativa mantiene nel proprio simbolo la fiamma tricolore, simbolo condiviso con tutti i movimenti di estrema destra. Non a caso, Liliana Segre ha sottolineato che solo togliendo un tale riferimento dal simbolo di Fratelli d’Italia diventerebbe credibile la condanna della dittatura fascista da parte dell’attuale governo.
Un 25 aprile denso di contenuti, dunque, non una scadenza rituale, ammesso che si possa parlare di ritualità riferendosi alla Resistenza, ma una mobilitazione consapevole della necessità di legare coerentemente la liberazione dal nazi-fascismo ai drammatici problemi attuali. Non a caso, come ogni anno, il corteo si è fermato in piazza Machiavelli (San Cosimo) per ricordare Graziella e Salvatore Giuffrida che, trasferitisi a Genova per lavoro, furono entrambi uccisi dai tedeschi perché impegnati nella lotta partigiana.
La marea di giovani e giovanissimi nel corteo fa ben sperare, così come è stata “rassicurante” la presenza di tante e tanti “militanti storici”, protagonisti nel passato di molte mobilitazioni, di vittorie e di sconfitte, che non hanno gettato la spugna e che rendono possibile quel passaggio del testimone necessario per legare insieme memoria e futuro.
Un corteo unito rispetto alla celebrazione del 25 aprile, ma diviso rispetto all’attualità. O meglio, letture diverse della Resistenza hanno determinato posizioni lontane, in alcuni casi alternative, riguardo all’oggi. Tutto ciò ha portato a manifestare insieme ma all’interno di un corteo diviso in due spezzoni. In apertura l’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d'Italia) promotrice della manifestazione, con alla testa un camioncino che oltre alle bandiere della pace, esibiva una bandiera palestinese e uno striscione contro il genocidio in Palestina. Simboli, quelli riferiti alla Palestina, che non sono stati, però, particolarmente apprezzati da una parte dei presenti in questo primo spezzone del corteo, oltre all’ANPI, soprattutto esponenti del PD e della CGIL.
L’altro spezzone, decisamente più numeroso e con una presenza giovanile molto più articolata, che ha sfilato a qualche centinaia di metri dal primo, è stato promosso da Catanesi Solidali con il Popolo Palestinese, un’aggregazione di movimenti di base, sindacali e sociali, e partiti della sinistra, che ha organizzato in questi ultimi due anni una mobilitazione costante contro il genocidio in Palestina e per il ritiro di Israele da tutti i territori occupati e contro l’invio delle armi in Ucraina, condizione necessaria, quest’ultima, per arrivare quantomeno a un cessate il fuoco. Un’aggregazione che, in generale, ha messo al centro il diritto dei popoli all’autodeterminazione. Queste posizioni non hanno, perciò, permesso di manifestare a fianco di chi ha votato per l’invio delle armi, ha sostenuto il riarmo europeo, ha negato, e nega, il genocidio.
Per i Catanesi Solidali, pur aderendo alla mobilitazione dell’ANPI, si è trattato di una separazione necessaria perché sulla pace e sulla guerra non sono possibili compromessi, né prese di posizione parziali e e/o poco chiare. Occorre, infatti, costruire un solido argine contro il bellicismo imperante, perché solo degli irresponsabili, irresponsabili verso l’intera umanità, possono essere tanto indifferenti di fronte ai conflitti da auspicarli e prepararli.