Ciò che si vede fa notizia, ciò che non si vede, invece no. Di conseguenza, ciò che non si vede, forse si ritiene non essere mai accaduto, e non essendo mai accaduto, non c'è di che preoccuparsi. Ha fatto molto scalpore, in negativo, l'episodio avvenuto lo scorso 6 maggio a Scordia, durante una partita di calcio di categoria allievi fra Gymnica Scordia e Libertas Catania Nuova, quando, sia i calciatori che, in un secondo momento, anche soggetti giunti dagli spalti, presumibilmente genitori dei ragazzi stessi, oltre che dirigenti e addetti ai lavori vari, hanno messo in atto una rissa che, definire tale, è solo un modo edulcorato per definire qualcosa di tale peso specifico in termini di gravità, che risulta arduo scegliere un termine adatto. Meno scalpore hanno fatto altre due vicende non dissimili. Si tratta di due episodi avvenuti rispettivamente il 7 marzo e l'8 maggio. Al "Velletri" fra Picanello e Real Trinacria il primo, al "La Valle" di San Giovanni Galermo fra San Giorgio Catania e Ragazzini Red il secondo. In entrambi i casi citati, si sono verificati episodi di minacce esplicite seguite da autentiche aggressioni all'indirizzo degli arbitri. Fa specie che, nel primo caso, si trattava di categorie giovanili under 15, nel secondo di una partita di terza categoria che ha visto protagonisti soggetti oltre i 40 anni. Così, se la reazione dopo aver preso visione di quel video divenuto rapidamente virale, riguardante gli avvenimenti di Scordia, aveva magari fatto pensare ai più di come, episodi come quelli in questione, fossero tanto gravi quanto eccezionali, le esigue diffusioni di altri eventi del genere sbattono in faccia la cruda realtà: succede, spesso e (mal) volentieri. A variare è la diffusione e l'eco della notizia stessa. Posta l'attenzione sulla non rara episodicità, varrebbe la pena volgere lo sguardo sulle reazioni degli organi di giustizia. Le azioni poste in essere da questi ultimi prevedono una serie di DASPO. Riguardo i fatti di Scordia, destinatari del provvedimento risultano essere ben 9 giocatori, per una durata compresa fra i 2 e i 3 anni, emessi a seguito di una profonda attività istruttoria che ha tenuto contro, oltre che dai rapporti forniti dalle forze dell'ordine intervenute a sedare l'attività violenza, anche di quanto contenuto nel referto formato dall'arbitro della partita, nonché del referto fornito dal pronto soccorso. Per le vicende del "Velletri" , circa una partita fra under 15, la durata dei DASPO è di 2 anni, nei confronti sia di alcuni dirigenti, che un calciatore 13 enne , reo di aver materialmente aggredito il direttore di gara. Infine, dal "La Valle", sanzionati con DASPO di 4 anni ciascuno, sono due calciatori della San Giorgio Catania, di 45 e 47 anni, per insulti, minacce ed aggressione fisica, oltre ad un dirigente 41 enne, per avere intimidito a fine gara l'arbitro, suggerendo una "pìù congeniale" stesura del referto, "chiedendo" l'omissione degli spiacevoli e gravi avvenimenti già citati. Salta agli occhi di come il fenomeno coinvolga svariate generazioni: si va da ragazzini di 13 anni a personaggi di 47 anni. Volendo porre in essere una breve riflessione sulle cause, certo che risulta difficile, se non ipocrita, additare le nuove generazioni quando l'esempio che ricevono si qualifica da sé. Sembra evidente l'assenza di freni inibitori, che vengono a mancare, in una buona maggioranza, dall'atteggiamento dei genitori, spesso e volentieri presenti ad assistere alle partite dei figli, comportandosi in modi che, nel migliore dei casi, può essere definito semplicemente diseducativo, col risultato di legittimare la condotta dei ragazzi, comunque grave e mai giustificabile e tollerabile. Basta assistere di persona per trovare conferma. Non tutti, sia chiaro. Ma una buona fetta sì, tanto da rendere "eccezione" i comportamenti corretti e a modo di quanti si distinguono e si dissociano. Ma guardando più in generale il quadro, fuoriuscendo dal contesto calcistico, la lite sembra essere il pane quotidiano della comunicazione. Esempio lampante sono gli articoli o video, che riassumono un dibattito politico, titolati "Tizio DISTRUGGE Caio". Non può di certo tralasciarsi il fatto che, spesso, le condotte in qualunque ambito della vita sociale, siano figlie di una cultura attuale dove tutto sembra consentito. Il veleno presente nei social, poi, non fa che incattivire tutti, risultando quasi impossibile instaurare confronti che possano prescindere da reciproci insulti, fra persone che, spesso, nemmeno si conoscono. Tornando all'argomento principale, se le questioni sono simili nell'oggetto, sono invece sostanzialmente distanti dalle cause. La sensazione è che, nei casi di soggetti più in avanti con l'età, la percezione del gesto sbagliato c'è, e lo dimostra l'azione del dirigente che "chiede" la variazione del referto al direttore di gara. Nei più giovani, al contrario, sembrerebbe quasi come se fosse totalmente assente la linea che distingue ciò che sta oltre, senza percepire come gravissimo il gesto posto in essere. Un passo importante nell'educazione va fatto, certo, ma anche nelle sanzioni. Si dovrebbe adottare una strada che non si limiti solo alla via afflittiva. Sarebbe opportuno anche "specializzare" la sanzione, perfino caso per caso. Tante le generazioni cresciute con i cult di Silvester Stallone, con la palestra come luogo di crescita personale e sociale, che attraeva a sé i ragazzi promettendo, se non un futuro, quantomeno un sogno. Limitarsi al solo DASPO, in altre parole divieto d'accesso e partecipazione a manifestazioni sportive sulla base di una ritenuta pericolosità per ordine e sicurezza pubblica, esaurisce il rimedio al solo effetto di chiudere in faccia una porta a tanti ragazzi. Affidare alla sola sanzione il compito di far percepire il disvalore della propria condotta, in assenza di educazioni a riguardo, ha tutto il sapore di un lavarsi le mani, e non vedere fino in fondo quale siano le criticità e i problemi.