di padre Giovanni Calcara, o.p. A 70 anni del barbaro omicidio di Filippo Intili per mano mafiosa, trucidato per avere difeso i diritti dei contadini (reclamando quanto deciso dalla recente legge Gullo del 1946 che destinava il 60% del raccolto ai contadini e il 40% ai proprietari) ci ritroviamo nel suo ricordo del suo martirio, come Comunità civile ed ecclesiale, con il mondo sindacale, con i parenti, perché la memoria della sua testimonianza diventi “seme” per la nostra umanità. Crediamo che la lotta per la giustizia, la verità e la legalità, possa e debba essere condivisa da tutti: credenti e non credenti, persone che hanno responsabilità (in qualunque ambito vivono ed operano) o semplici cittadini. Con responsabilità diverse, certo, ma tutti accomunati nell’unico impegno che renda giustizia alla dignità di ogni persona umana, chiunque essa sia. Papa Francesco nella lettera enciclica “Gaudete et exsultate” (2018) sulla santità nel mondo contemporaneo, ci invita ad accogliere la testimonianza “dei santi della porta accanto”. Di tutti quelli che con sacrificio e dedizione, portano avanti il loro impegno nell’ambito delle proprie responsabilità. Anche senza saperlo, sono santi, perché la loro testimonianza ci possa incoraggiare anche ad imitarli”. La “vera” santità non consiste nell’accendere candele, fare le processioni o recitare preghiere ma, come vuole il Vangelo è lottare per la giustizia e la verità dell’uomo, innanzitutto, e poi del mondo. La memoria, doverosa, anche se per troppo tempo di Filippo Intili il ricordo è stato sepolto dall’arroganza dei mafiosi che hanno voluto il suo omicidio, dalla paura degli altri contadini intimoriti dall’efferatezza con cui è stato commesso, dall’omertà dei tanti che hanno preferito “farsi gli affari propri”. Siamo paralizzati non solo dalla paura, ma dalla mancanza del coraggio di guardare al passato, di pensare solo all’utilità che possiamo ottenere sul piano personale dalle nostre azioni, omettendo di pensare alle conseguenze che esse possono avere sugli altri. L’impegno quindi oltre la memoria, la coerenza e la responsabilità di fronte a tutte “le strutture di peccato”, nessuno può accampare scuse: se la nostra Chiesa, la nostra Società, la nostra politica come l’economia, i sindacati come le agenzie educative non sono all’altezza delle loro responsabilità, tutto ciò ha permesso l’affermarsi di una cultura del “quieto vivere, del fatalismo” di fronte a vicende (non solo l’omicidio di Filippo Intili, ma anche quello di Giorgio Comparetto, e piùrecentemente di Mico Geraci). Per cui le persone oneste sono diventati eroi, loro malgrado; tutti pronti a giudicare “ma chi glielo ha fatto fare, poteva godersi la famiglia”. L’omertà, come insegna il cardinale Salvatore Pappalardo, il vescovo che chiamava “fratelli” i mafiosi, chiamandoli alla conversione, non è un’attitudine cristiana e quindi non deve essere da noi praticata. Il potere, il denaro che voi avete adesso, dice papa Francesco, da tanti affari sporchi, da tanti crimini mafiosi è denaro inquinato, è potere insanguinato e non potete portarlo all’altra vita. L’invito a tutti noi: non scoraggiatevi a lottare contro ogni forma di criminalità o di corruzione. Questo deve partire da dentro, dalla coscienza, in modo da risanare i comportamenti, le relazioni, le scelte, il tessuto sociale, così che la giustizia guadagni spazi, si allarghi, si radichi e prenda il posto dell’iniquità”. Quale la lezione che ci ha lasciato Filippo Intili? Lui e gli altri contadini lottavano per avere un tozzo pane per se e per le loro famiglie, oggi la stessa dignità è violata dall’economia e dalla finanza mondiale che ha ridotto il lavoratore a una entità astratta che, si può licenziare con una email. Di fatto viviamo in una società post-umana in cui non è più al centro la persona, ma l’economia e la speculazione per ottenere guadagni sempre più alti, a qualunque costo. Questo è il “pane” che noi tutti dobbiamo difendere, mettendo al centro dell’interesse e dell’azione, tutte le persone fragili e deboli: gli anziani e i giovani, i lavoratori e gli immigrati. Altrimenti non ci sarà futuro per nessuno. Saremo chiamati non solo a “metterci la faccia” ma, a “pagare di persone”, con la coerenza della nostra vita. Per essere, come affermava San Paolo “cittadini degni del Vangelo”. Rendiamo la verità a Filippo Intile, insieme a tutte le vittime che con la loro vita hanno reso possibile guardare al futuro della nostra Società e della nostra Chiesa, in maniera diversa. Ciascuno si chieda “E adesso, che cosa devo fare?” Solo allora la memoria si fa impegno. E dalle rievocazioni storiche passeremo alle battaglie da intraprendere, per essere artefici del nostro futuro e non spettatori delusi, pronti al compromesso con la nostra libertà e la nostra dignità. Il futuro ci appartiene, nella misura in sui sapremo costruirlo da persone libere nel rispetto della persona umana e dei suoi diritti naturali e inalienabili. Lotta per la giustizia, la verità e la legalità...
Il Papa: potere insanguinato e denaro inquinato