Ancora una volta ci troviamo a riportare la notizia dell’ennesima piccola vittima dei social media. Ancora una volta si cerca di capire cosa si sarebbe potuto fare per evitare questa ennesima tragedia. Ma non sarebbe forse meglio prevenire piuttosto che curare? Le risposte del Dott. Giovanni Rapisarda, neuropsichiatra infantile. Un altro fatto di cronaca legato al “lato oscuro” dei social media: una bambina di Palermo di appena 10 anni muore per gioco. La piccola Antonella è rimasta vittima della “blackout challenge”, nota prova di soffocamento su TikTok. La bambina non è sopravvissuta alla gara social, una cintura intorno al collo le è stata fatale. I genitori della bambina hanno dato il loro consenso per quanto riguarda il prelievo degli organi della figlia, e intanto si indaga per istigazione al suicidio. Perchè sentiamo sempre più di frequente di bambini vittime di sfide alla morte senza alcun senso o spinte ad atti di autolesionismo a servizio dei social? Risponde il Dott. Giovanni Rapisarda, neuropsichiatra infantile del DSM di Catania. «Non mi sento di parlare di colpe o dare responsabilità. Fatta questa premessa, quando un bambino ha in mano un social media è già qualcosa di negativo, la legge prevede che fino a 14 anni i profili non si possono creare». Ma la legge è facile aggirarla, purtroppo, «si, è facile aggirarla, e da questo punto di vista ci vuole maggiore vigilanza». «Sicuramente, quando cose così spiacevoli accadono a un bambino, bisogna andare a cercare l’adulto che manca. L’appello a tutti sarebbe di non sottovalutare mai niente di quello che è in mano ai ragazzini. I social media hanno potenzialità estremamente positive, ma nascondono delle insidie pesantissime, sia nella fase infantile che - peggio ancora - in quella adolescenziale, in cui la personalità è fragile, si sta strutturando e quindi i ragazzi vengono invogliati ad entrare in questi circuiti». «Sull’accaduto io credo che la bambina sia stata spinta da curiosità e voglia di giocare. Credo che fosse una cosa piu grande di lei di cui ha perso completamente il controllo, non c’era nessuna volontà di compiere un gesto estremo, semplicemente curiosità di giocare. Mi faccio una domanda: come mai chi controlla i social media non riesce a intercettare ciò che accade dentro? […]Non basta bloccare Trump, bisogna intervenire in queste circostanze, quando la vita dei nostri ragazzi è in pericolo». «L’educazione è la prevenzione migliore, per evitare situazioni di questo genere. Sicuramente la presenza degli adulti a fianco dei ragazzi è indispensabile. Bisogna avere il coraggio di mettere dei limiti, non si può fare tutto. Noi non permetteremmo mai che nostro figlio metta le mani dove c’è la corrente, anche se questo divieto lo farà piangere, perchè vogliamo salvarlo. […] Bisogna fare uno sforzo educativo a più livelli, a scuola, in famiglia. Molti adulti non sono pronti ad aiutare i figli a maneggiare una materia cosi delicata. «Uno strumento potente che diventa pericoloso, soprattutto in mano a chi non sa utilizzarlo. Una bambina affascinata dal gioco non può discernere il pericolo in quel momento. Non è educata a capire che il gioco gli possa sfuggire di mano. […] TikTok è molto frequentato da piccoli, l’emulazione del gioco “da grandi” avviene senza consapevolezza del pericolo, e quindi si scatena un circolo vizioso pericolosissimo».Di chi è la colpa, se c’è, quando un bambino rimane vittima - nel vero senso della parola - di un social media?
Non stiamo forse perdendo tempo? Non ci sarebbe bisogno di un intervento educativo importante? Come anche lei anticipava, la bambina non aveva forse consapevolezza di ciò che stava facendo.
Il problema sta forse qui. Abbiamo uno strumento potente a cui tutti, grandi e piccoli, non siamo forse preparati.
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