Dodici euro. Per visitare la mostra sul Caravaggio, in questi giorni allestita all’ultimo piano del Castello Ursino, bisogna spendere dodici euro. Sì perché alla cassa, oltre ai sei euro del biglietto per ammirare i lavori dell’artista milanese, si è costretti a pagare anche il ticket per visitare il resto del museo. Cioè altri sei euro. In che senso? “Per raggiungere l’ultimo piano, hai accesso a tutti gli altri” rispondono alla cassa, giustificando così il secondo biglietto. E poco importa se non vedrete le altre parti del Castello perché non ne avete voglia, non avete tempo o le avete già viste cento volte. I sei euro in più sono obbligatori. Si fa spazio la speranza che la mostra valga quella somma. Speranza che muore atrocemente una volta raggiunto il secondo piano. “Giuditta e Oloferne” in versione multimediale (su questo alla cassa avvisano) per metà del monitor e per l’altra metà la testa di un uomo sofferente in continuo movimento nei panni del Caravaggio. Stessa cosa per “Davide con la testa di Golia”. A cosa serve quel cranio se non a distrarre dall’opera? Cosa insegna a chi la osserva per la prima volta? Praticamente nulla. [gallery ids="26751,26749" type="rectangular"] All’ultimo piano i lavori sono circa dodici, racchiusi in un unico grande stanzone ed esposti senza una logica apparente. Dei due monitor che dovrebbero raffigurare i dipinti realizzati dall’artista in Sicilia, uno è guasto, quello che dovrebbe proiettare il “Seppellimento di Santa Lucia”. Nell’altro si avvicendano dettagli della “Resurrezione di Lazzaro” (volti, mani, vesti) senza che si veda mai interamente. A seguire tre grandi schermi, di cui uno riproduce una parte della “Flagellazione di Cristo” e gli altri gli affreschi dedicati a San Girolamo, ed altri più piccoli con soggetti in movimento. Nel frattempo nessuno degli addetti ai lavori si preoccupa del monitor non funzionante. E i visitatori pagano.
Descrizioni di vita, opere e tecniche a parte, che danno almeno un’idea di chi fosse Caravaggio e di come vivesse la persecuzione dello Stato Pontificio, l’unica vera attrazione della mostra è l’angolo buio in fondo alla stanza, nascosto da lunghe tende nere. Spostandole, si resta avvolti dalle immagini e dal fragore delle onde del mare in tempesta. Una metafora della vita dell’artista, sempre in viaggio per lavoro o in fuga per paura, che proprio su una spiaggia, in totale solitudine e ammalato, spira. Forse l’unico dettaglio in grado di suggestionare il visitatore. Una mostra dal valore di sei euro, appunto. Sfruttare il desiderio di vederla, raddoppiando il prezzo, non è onesto. Bastava ospitarla al primo piano o accompagnare il visitatore all’ingresso dell’esposizione. Invece si è scelto di fare una selezione naturale su un bene come la cultura che dovrebbe essere accessibile a tutti.