Il 7 dicembre, in occasione della prima del teatro alla Scala di Milano, è sembrato che il calendario fosse tornato indietro di 160 anni e che l’inusuale lunghissimo applauso tributato al Presidente della Repubblica Mattarella, così come le voci del pubblico e dei coristi che hanno cantato sulle note dell’inno di Mameli, dovessero preludere al grido VIVA V.E.R.D.I , che tutti abbiamo studiato nei moti risorgimentali, quasi che fosse tempo per un nuovo risorgimento. Quanto rilevato, unito al fatto che ‘l’opera messa in scena, l’Attila, sia forse uno dei drammi più politici della produzione Verdiana, anche perché scritto nel 1846, quasi prodromico dei moti del ‘48, ha fatto fare più d’un pensiero malizioso. Tali pensieri maliziosi però sono non solo peccaminosi in quanto tali, ma anche destituiti di qualsiasi fondamento. Il cartellone delle opere da mettere in scena viene deciso con un tale anticipo che pensare ad una scelta “orientata”è semplicemente frutto di crassa ignoranza. Quando si è stabilito che la prima del 2018 alla Scala di Milano sarebbe stata l’Attila, era ancora saldamente in carica il Governo Gentiloni, e l’unico potenziale Attila all’orizzonte sicuramente non era giallo/verde. Ma tant’è l’astinenza dal potere è cattiva consigliera e fa apparire ,se non reali,quanto meno verosimili desideri inconfessabili e comunque irrealizzabili. Nessun Nabucodonosor è “ad portas”,e comunque, a scanso di equivoci” va pensiero “è l’inno della lega. Non mi risulta che abbiamo un Attila dentro casa, e comunque nessuno fermerebbe una mano omicida solo per poterlo uccidere con le proprie mani. Ed infine “viva V.e.r.d.i” era scritto sui muri e non urlato a teatro ed il pubblico della prima a La Scala di Milano, in smoking e papillon, cultural radical chic, e di stretta osservanza istituzionale, proprio non ce lo vedo a dare il la’ ad una ribellione ed alla ricerca di un nuovo improbabile V.E.R.D.I... Alfio Franco Vinci