Partiamo da una delle storie, vera e non presunta o frutto dell’immaginazione di qualcuno, tragica e, forse, tra le più importanti connesse alle celebrazioni per la “Giornata Internazionale della Donna”. 25 Marzo 1911, New York. Centoquarantasei persone perdono la vita a causa di un incendio che si sviluppa all’interno della fabbrica “Triangle”. C’è chi ha detto che fossero solo donne (come ha fatto, ad esempio, Gian Antonio Stella in un articolo risalente al 2004 dal titolo "Quella svista sull’8 Marzo" e pubblicato tra le pagine del Corriere della Sera) e chi ha affermato che tra i morti comparissero anche ventitre uomini (come riportato dal The American Postal Work Magazine nell’edizione di Marzo-Aprile 2004). Onestamente, di queste macabre conte con distinzioni di sesso, non c’importa. Il punto, l’unico rilevante, è che morirono quasi centocinquanta esseri umani, uomini o donne che fossero. La stragrande maggioranza dei quali, se non la totalità, erano operai sfruttati e maltrattati. Come accennato in apertura, il drammatico evento newyorkese, è tra quelli commemorati in occasione della “Giornata Internazionale della Donna” che, in Italia, dopo essere comparsa, seppur con toni minori già nel 1922, si è affermata dopo la seconda guerra mondiale e più precisamente l’8 Marzo 1945. In quella data l’Unione Donne Italiane fece onore alla prima “nuova” giornata delle donne nelle zone d’Italia libera. Si sa, la storia con le sue battaglie è fatta di simboli, insegnamenti ma pure strumentalizzazioni. Può andar bene ricordare ogni anno i progressi politici e sociali ottenuti dal gentil sesso, doveroso commemorare le vittime degli abusi e quante hanno dovuto combattere in nome della sacrosanta libertà e uguaglianza. Impossibile dimenticare torti, ingiustizie e discriminazioni andate avanti per troppo tempo. Fondamentale, come in tutte le cose, imparare dagli sbagli per far si che non si ripetano. Allo stesso modo, però, appare quanto meno discutibile ridurre le vicende del passato, e le storture che purtroppo ancora oggi persistono, a un’esclusiva “lotta di genere”. Ammissibile che si siano portate avanti nei secoli scorsi, quando per ignoranza e arretratezza succedeva, anche in Occidente, che le donne vivessero realmente ai margini di alcune società e non godessero dei diritti riconosciuti agli uomini. Un po’ meno credibile, almeno a mio parere, continuare, ancora ora, a rimarcare certi aspetti e presunte discriminazioni di genere, perlomeno a casa nostra. Non fraintendetemi. Non dico che, purtroppo, non si continui ad assistere a episodi di violenza o maltrattamenti compiuti ai danni delle donne. Non ho dubbi sul fatto che ancora tanto ci sia da fare, soprattutto in alcune culture. Credo soltanto che non sia il caso di categorizzare in base al genere, o ad altri sottoinsiemi, delitti o reati. Esemplificando, ritengo che un “femminicidio” equivalga a un omicidio (traducendo il termine “homicide” che fino alla metà dell’Ottocento indicava, questo si discriminando, le sole uccisioni di uomini). In poche parole, penso si debba riflettere sul perché si compiano determinati atti, senza ricercarne le cause nella differenza di genere ma piuttosto analizzandone altri aspetti. Più utile, probabilmente, investigare sui livelli di ignoranza, malessere sociale, delinquenza e criminalità, che spesso portano al compimento di tali crimini. Viviamo nel paese dove, con riferimento allo sport che credo rappresenti un mezzo straordinario per cercare di studiare la nostra società, succede che catanesi e reggini si insultino, e pure malamente. Credete sia razzismo o ignoranza? Io scelgo la seconda opzione. Potrei andare avanti con le dimostrazioni, non lo faccio perché credo di aver reso l’idea. La storia è piena di eventi negativi: la “shoah”, la “tratta degli schiavi”, le persecuzioni religiose. Abbracciano epoche diverse con un unico denominatore; quello del dramma che hanno rappresentato e che talvolta ancora rappresentano. Questo per dire che, presumibilmente, sarebbe meglio non concentrarsi ostinatamente su problemi legati a vocali a fine parola o all’esaltazione di un movimento piuttosto che un altro. Occorrerebbe riflettere su temi come l’istruzione, il confronto, il dibattito, la crescita culturale. Legittimo rendere onore a chi ha pagato con la vita il prezzo, carissimo, dei diritti di tutti, non solo donne o soli uomini. Non capisco, ma sarà un mio limite, il perché di tanto accanimento nel sottolineare i meriti o le colpe, differenziando, delle une o degli altri. Non comprendo la necessità di inventare leggende legate all’8 Marzo e ai suoi significati. Per anni si è detto, erroneamente e chissà se consapevolmente, che tale data fosse stata scelta per omaggiare alcune operaie morte a causa di un rogo, mai esistito, scoppiato nel 1908 all’interno di una fantomatica fabbrica di camicie americana, inesistente pure questa. Falsità, ma che colpivano. E quindi, senza imbarazzi, qualcheduno ha scelto di far correre l’immaginazione per i propri interessi. Le fiamme scoppiarono davvero, come detto in apertura, nel 1911 e, per la risonanza politico sociale innescata, determinarono, oltre alle innumerevoli vittime, un cambiamento radicale nell’organizzazione del lavoro, nel riconoscimento dei diritti e nella regolamentazione dei contratti. Fu una prima conquista, credo sia l’aspetto più importante da sottolineare. A prescindere da chi fossero le vittime, da come si chiamassero e da dove provenissero. Mi auguro che l’8 Marzo di ogni anno serva a riflettere sul ruolo, indispensabile, che le donne hanno avuto, così come gli uomini, nella storia. Spero, ma ne sono convinto, che non sia il giorno dell’ipocrisia e delle, inutili, campagne “di una parte”. Il mio mondo è fatto di rispetto, il miglior modo per onorare e celebrare, sempre, chi si spende per l’egualità, ed è per tutti, senza differenze.