Qualcosa come 99 donne ammazzate nel 2024, 1 milione e 895 mila donne hanno subito molestie sul lavoro a sfondo sessuale, il lavoro femminile è soprattutto precario e sottopagato, l’occupazione femminile tocca il 63% dei part time, nel 2023 il 65% delle donne si è licenziata per gestire i figli. Un bollettino di guerra fatto di morte, discriminazioni, impossibilità di vite dignitose.
La guerra, il peggioramento delle condizioni di vita delle lavoratrici e dei lavoratori, le leggi contro il diritto alla protesta, al conflitto sociale sono oggi gli elementi caratterizzanti della fase e senza alcuna prospettiva di cambiamento, anzi la guerra diviene sempre di più l’unica strada percorribile per un sistema in crisi. Il governo Meloni, in perfetta continuità con i governi precedenti e con le indicazioni dell’Unione Europea, continua ad aumentare le differenze sociali, a tenere bassi i salari, a ridurre le tasse ai ceti più ricchi, a sostenere l’Ucraina e il governo genocida israeliano.
Un governo che non garantisce il diritto alla casa, taglia il reddito, le pensioni, i finanziamenti ai centri antiviolenza, l’accesso alle cure sanitarie, agli asili, ai consultori, senza offrire alcun sostegno economico per avviare percorsi di fuoriuscita dalla violenza per le donne e le persone LGBTQIA+.
Un sistema che vede nell’economia di guerra l’unica prospettiva, con investimenti miliardari nelle armi e nella sistematica diffusione di cultura di guerra nelle scuole e nelle università, dispositivo violento per definizione, alzando barricate contro l’introduzione di corsi per l’educazione sessuale, sentimentale e al rispetto delle diversità, disinvestendo invece nella formazione di quegli attori che dovrebbero riconoscerle, prevenendo e combattendo la violenza di genere: insegnanti, operatori sanitari dei PS, forze dell’ordine, magistrati, giornalisti.
Un governo che punta al “Dio, Patria, Famiglia” assegnando alla donna il ruolo di ancella e fattrice, rifiutandosi di riconoscerla come libera soggettività, con diritto di scegliere ed autodeterminarsi.
La nostra lotta è quotidiana nei luoghi di lavoro, nelle piazze e nei nostri sedi, attraverso la rivendicazione di un salario adeguato al costo della vita, per il diritto a una casa che sia un luogo sicuro, per la sicurezza che non sia paura e repressione, contro la guerra e l’economia di guerra, contro il genocidio del popolo palestinese, al fianco di tutte e tutti coloro che si battono per l’autodeterminazione e la libertà dal colonialismo.
La nostra lotta è quotidiana, al fianco delle lavoratrici della Ferrero sottopagate, delle infermiere escluse dai concorsi perché incinte, degli sportelli contro le molestie e la discriminazione nei luoghi di lavoro che, insieme a Rete Iside Onlus, stiamo aprendo nei nostri sedi.
Lo sciopero generale e generalizzato del 13 dicembre ci vedrà scendere in piazza a Roma e a Milano su questi temi e obiettivi, contro le scelte di un governo reazionario, che avranno ricadute pesanti sulle condizioni di lavoro e di vita, sul sistema dei servizi e più in generale sulle libertà democratiche con il DL 1660 in fase di approvazione, ma anche contro i rischi sempre più concreti di essere coinvolti in una spirale di guerra guerreggiata, dall’Ucraina al Medio Oriente e oltre.
La violenza contro le donne è materialità e cultura del capitalismo e dei governi che lo incarnano, la nostra è di lotta per una vita sicura e dignitosa per tutte le lavoratrici e i lavoratori.
USB-Unione Sindacale di Base