Catania, 1964. In via Etnea le auto scendono a frotte a desta ed a manca: Topolino, Cinquecento, qualche Vespa 50, una Seicento Multipla, passanti frettolosi attraversano senza guardare, i soliti quattro amici scendono da Savia fino in piazza Università con un solo argomento in testa: le ragazze.
Quella elegantona con una gonna a fiori e capelli lunghi, quella un po’ formosa con un lato B da favola, quella impiegata nella profumeria della Rinascente, quella che non saluta mai accompagnata ogni momento dalla madre o dal fratellino più piccolo. Momenti di gioia brancatiana, ma nulla di più.
E’ una Catania sonnolenta, perché sta per arrivare la primavera e sensi sprigionano scintille nei circuiti cognitivi alti, funzionando così da interfaccia intelligente in questi giovani studenti in un distretto del piacere (solo fantasioso…) come un parco a tema: il problema più importante per noi è di avere una ragazza di sera (proprio come diceva Adriano Celentano!).
Ore e ore a scendere e salire per via Etnea, e se uno dei quattro voleva cambiare
argomento e parlare del Catania, di Calvanese e di Vavassori , finiva sempre per essere redarguito in modo leggero ed ironico, ma se il poveretto insisteva, veniva deriso ed offeso sulla sua virilità con parole oscene e dissacratorie. Poi il saluto e tutti a casa, ma non per studiare. Ci mancherebbe. Era d’obbligo la telefonata a qualche compagna di scuola per avere notizie su “cosa” si doveva studiare. Incredibile, ma vero!
La domenica mattina Catania cambiava volto. Un silenzio meraviglioso, un sole tiepido, un’aria frizzantina, leggera, soave, poche auto, un bus qua e là, e donne che vanno a messa. Solo qualcuno con una busta di plastica, per le scarpe da calcio, a mo’ di borsone, un pullover sopra le spalle si avviava, con fare misterioso verso una meta lontana: il campo di calcio del Villaggio Santa Maria Goretti vicino l’aeroporto di Fontanarossa: una sorta di paradiso terrestre per una partita di calcio Allievi! Non era facile.
Nello stesso istante – come ladruncoli di primo pelo – qualche ragazzo usciva di casa senza farsi vedere dal padre, ma con il beneplacito (nascosto) della madre, senza nulla in mano, neanche le trenta lire per l’autobus 24, si incamminava verso piazza Duomo, perché lì c’era il presidente dell’Olimpia, o della Katane, o della Superga, che con la loro Seicento Muiltipla portavano qualche giocatore alla partita. E gli altri si arrangiavano: con la bicicletta, con un passaggio di qualche fratello maggiorenne, e, addirittura, alcuni con l’autostop fino al Faro della Playa e poi a…piedi! I padroni del campo “Goretti” Sapienza e Collura nel vedere 22 animelle del Creatore ed un arbitro come un angioletto del Signore, si intenerivano e dicevano ai dirigenti di comprarci
una gazosa, un’aranciata, una Coca Cola, dopo la partita, perché tornare a casa stanchi, sporchi, delusi o felici, lacerati nelle gambe, una bibita era l’unico premio che avremmo avuto!
Catania, 1964, amara e dolce, tra il nero della lava e l’azzurro del mare, sotto la pioggia scrosciante o il sole infuocato, un mondo di valori creato ed alimentato da una società borghese post-guerra, proletaria e no, inglobata in un processo evolutivo lento, silenzioso, senza fronzoli, ma allo stesso tempo con le forme economiche e sociali del distretto del piacere, il dialogare con nuovi figure del ciclo dei “nuovi” desideri,
erano già le premesse dell’apocalisse culturale che stava lentamente avvicinandosi: il 1968. Nel prossimo appuntamento. Vedremo.