A Luci Spente, il format di SicraPress, oltre a Giovanni Mangano (coordinatore regionale di Confedercontribuenti), è intervenuto l’avvocato Enzo Guarnera, presidente dell’Associazione Antimafia e Legalità, che ha discusso di politica e amministrazione politica in Sicilia, affrontando anche il delicato argomento dei comuni sciolti per mafia.
- Perché la politica non è più al servizio dei cittadini?
“Perché la politica ormai pensa solo a se stessa. C’è un clima culturale di egoismo crescente e ovviamente questo individualismo determina che non solo i cittadini siano così, ma anche la classe politica che li rappresenta. Ormai si fanno solo i fatti propri: diceva Guicciardini che “l’uomo guarda il proprio particulare”, ossia l’interesse personale. Io lo verifico nell’esperienza quotidiana, sia come associazione Antimafia e Legalità, ma anche in un’esperienza che sto facendo da qualche anno andando in alcune scuole e parlando con ragazzi di vari temi legati alla legalità. In questi giorni sono stato in una scuola media di frontiera, di periferia, in quartieri degradati, parlando con i ragazzi del bullismo e razzismo e verificando che purtroppo questi ragazzi vivono grandi disagi personali, familiari, sociali ed economici, e li avvertono perché vivono in quartieri di antico degrado cittadini. Mi sono chiesto allora, perché esistono questi quartieri? Perché una certa politica cittadina li ha dimenticati? Questa dimenticanza è gravemente colpevole, perché se questi ragazzi crescono in un certo modo non è per il fato e il destino ma per la mala politica, e quindi va cambiata”.
- Il fatto che chi ha potere pubblico abbia precise responsabilità sfugge ai più perché quando sbaglia un politico, egli non paga mai. È possibile che chi detenga il potere non sia consapevole di avere queste responsabilità e che non sia una passeggiata di salute?
“La politica non ha interesse nell’elevazione culturale, economica e sociale dei cittadini, perché se tu resti nella incultura, nel sottosviluppo e nel bisogno, io ti posso ricattare meglio, chiedendoti il voto in cambio di un favore. Molti hanno sostenuto che un popolo ignorante faccia comodo al potere, ed è così. L’abbandono delle grandi periferie è funzionale al mantenimento del potere in chi ce l’ha, e questo tipo di potere è “senza etica”, come direbbe Paolo Borsellino: oggi i politici sono privi di etica, tutti o quasi tutti, e mirano a usare strumentalmente il consenso per mantenere il proprio potere. Avendo una lunga esperienza politica, purtroppo li ho conosciuti i politici e oggi ho difficoltà a individuarne qualcuno di cui possa fidarmi. Si tratta di ripartire da capo: il mio impegno nelle scuole deriva proprio dalla consapevolezza che una possibilità di cambiamento nasca solo se le nuove generazioni riescono a diventare protagoniste con una logica e valori diversi, diventando essi il governo della città e del paese. Il politico che detiene il potere non ha interesse a far crescere i giovani perché così ci sarebbe il ricambio, che farebbe perdere potere al politico. Chi dei politici al potere a Catania ha avuto interesse a far crescere una nuova classe dirigente? Nessuno, perché se viene fuori un gruppo di giovani capace e competente, lo spazza via. I politici vogliono solo dei servi, dei quaquaraquà, come direbbe Sciascia”.
“Il problema va ricercato a monte: c’è un difetto di formazione politica in questo paese, che è scomparsa perché non vi è interesse a formare nuove classi dirigenti. Il potere si è cristallizzato e vuole rimanere lo stesso perché non vuole essere messo in crisi. Il potere non è solo politico ma anche economico, ci sono interessi economici che si legano alla politica affinché la situazione resti com’è; la politica gestisce di conseguenza le leve dell’economia e l’economia condiziona le scelte della politica. Il problema è la coscientizzazione: noi siamo un paese nel quale, purtroppo, ci sono ancora molti sudditi e pochi cittadini. Dovremmo far diventare i giovani dei cittadini, ossia consapevoli. Sin quando si resta sudditi c’è sempre un feudatario, un re o un imperatore che dà i comandi e lui obbedisce, perché così si ottengono favori e privilegi o, meglio, raccomandazioni”.
“Ci sono due aspetti da analizzare: uno è istituzionale, perché il popolo italiano, stranamente, ha sempre meno esigenza di libertà e di democrazia, e quindi alcune riforme che diventano meno democratiche e meno ispirate all’impianto originale della Costituzione possono essere sopportate perché c’è un disinteresse per la cosa pubblica, e quindi c’è sempre il desiderio che alla fine ci penseranno “loro”, tanto che se veniamo chiamati meno a decidere e votare ci sta bene lo stesso; il secondo aspetto è l’amoralità della classe politica di questo paese. Abbiamo persone impresentabili sul piano etico che governano non solo in Parlamento ma anche nelle varie istituzioni e negli enti locali. La limpidezza della condotta personale non è più un requisito, e anzi se hai delle pendenze di natura giudiziaria penale hai un titolo in più per poter governare il paese. Tra le cose che diceva Borsellino, culturalmente distante dalla mia formazione ma col quale mi sono trovato assolutamente d’accordo, “il semplice sospetto che chi vuole impegnarsi in politica ha qualche ombra (non una condanna ma anche solo un procedimento aperto) sin quando non si chiarisce la sua posizione, egli deve fare un passo indietro e se non lo fa deve essere il suo partito a farglielo fare”. Questa lezione è dimenticata da quegli stessi che ogni anno vanno in Via D’Amelio oltraggiandone la memoria”.
- Per gli enti o comuni sciolti per mafia, chi è che paga o ha pagato?
“Intanto c’è il commissariamento iniziale di 18 mesi, durante i quali ci sono tre funzionari prefettizi che guidano il comune e fanno le veci del sindaco, della giunta e del consiglio comunale; poi si dovrebbe ovviamente tornare a votare, ma non possono ricandidarsi coloro i quali hanno fatto parte degli organismi disciolti, soprattutto quelli implicati nei rapporti poco chiari con la criminalità organizzata; ci sono quindi dei processi che giustamente non vengono più seguiti perché c’è la notizia dello scioglimento, poi la polemica perché il sindaco e gli assessori comunicano subito che non fosse vera, facendo ricorso al TAR, che quasi sempre dà ragione alla prefettura e al governo che fa lo scioglimento; successivamente vi sono dei processi nei confronti di soggetti appartenenti alla criminalità organizzata che nessuno segue più, per cui si pensa che questo scioglimento sia rimasto in aria. Per andare all’ultimo scioglimento, quello di Randazzo, a parte le indagini che sono in corso su alcuni esponenti dell’amministrazione, è stato determinato la quasi scomparsa del clan Sangani, clan mafioso legato ai Santapaola-Ercolano: molti di questi sono finiti in carcere e già dovrebbe esserci stata una condanna di primo grado nei confronti di queste persone e vi sono stati dei sequestri dei patrimoni dei Sangani, come una serie di terreni e di stalle abusive poi abbattute. C’è un’attività che però poi non viene più seguita”.
“Io negli anni 90’ mi occupai come componente della commissione regionale antimafia, di alcuni comuni della Sicilia che vennero sciolti per mafia, e sollecitai più volte i prefetti a sciogliere alcuni comuni, cosa che poi avvenne, come San Giovanni la Punta, perché vi erano dei rapporti poco chiari tra alcuni amministratori e alcuni clan mafiosi, vicini tra l’altro al malpassotu. Il giornalismo potrebbe anche fare ogni tanto uno sforzo di memoria storica per ricostruire queste vicende facendole ricordare ai cittadini e facendo ricordare chi erano i politici coinvolti. Per fare tutto questo occorre che il giornalismo italiano abbia la schiena dritta, perché mettere assieme una storia dei comuni sciolti per mafia in Sicilia con i nomi e cognomi dei politici coinvolti significa farsi dei nemici”.