di Alfio Fanco Vinci
Sto cercando di capire qualcosa dell’intelligenza artificiale, specie per quanto riguarda l’uso illecito, fraudolento o denigratorio della stessa.
Ritengo infatti che tutte le applicazioni connesse con questa nuova frontiera della scienza e della tecnologia, rivolte a migliorare campi del sapere utili al genere umano, vadano utilizzate al meglio delle possibilità; cosa diversa per gli usi distorti, anche se apparentemente ludici o innocui.
Scene del tipo Trump arrestato, pi a migliorare campi del sapere utili al genere umano, vadano utilizzate al meglio delle possibilità; cosa diversa per gli usi distorti, anche se apparentemente ludici o innocui.
Scene del tipo Trump arrestato, piuttosto che Putin in manette, anche se possono attrarre l’attenzione, favorevole o ostile di chi le vede, dovrebbero indurci a una riflessione, certamente non moderna, certamente non scientifica, ma vecchia come il mondo, e al conseguente interrogativo: ”Cui prodest “.
Quando gli antichi romani si trovavano di fronte ad accadimenti poco credibili, così si interrogavano, e quasi sempre trovavano la risposta.
In Italia, come per ogni innovazione dobbiamo strafare, così ci troviamo col più alto numero di telefonini pro capite, con monopattini elettrici abbandonati ovunque e utilizzati senza nessun rispetto delle regole, con giovani che ignorano come comportarsi e che scambiano i “tre squilli di tromba” per l’inizio di una canzone rap.
Sempre pronti, giovani e meno giovani ad abboccare alle maldicenze, anche le più assurde, perché, chi più chi meno, siamo tutti discendenti dell’Aretino Pietro, che: ”di tutti parlò mal fuorché di Cristo, scusandosi col dir, non lo conosco“.
È già iniziata una stagione costellata di campagne elettorali, durante la quale, con l’intelligenza artificiale, verranno fatte dire a personaggi pubblici le cose più verosimili, ma false.
Ad esempio: che motivo avrebbe un politico di primo piano, di andare a dire: ”Ho investito 100 euro e in pochi giorni ne ho ricavati 300”
A chi può giovare una tale dichiarazione, certamente non all’interessato, ma al suo avversario.
Riflettiamo, e, prima di crogiolarci nella maldicenza, nella diffamazione o nella credulità “pelosa” che solletica l’Aretino che è in noi, chiediamoci, ancora una volta: “Cui prodest”.